La distinzione tra il Creatore e la creatura

Matthew Johnston

Ci sono in tutto il modo solo due cose. È vero che secondo gli scienziati ci sono più di 150 miliardi di galassie osservabili nell’universo, ciascuna contenente miliardi di stelle ma nonostante l’apparente infinita vastità dell’universo, tutte quante le cose sono effettivamente riducibili a due: Dio e tutto il resto. Si può parlare dunque di due generi di esistenze: il Creatore e la creazione. Dio è indipendente e senza limiti, mentre noi siamo come tutto il resto del creato dipendenti da Dio e limitati in svariati modi nello spazio e nel tempo. Questa distinzione è una verità talmente inviolabile che la sua essenzialità si presuppone ovunque nella Bibbia. Infatti, il primo versetto del primo libro biblico è comprensibile solo alla luce di questa differenziazione: “Nel principio Dio creò i cieli e la terra” (Genesi 1:1). Da sempre Dio è esistito ossia è senza un inizio, tutto il resto invece lo ha. Dunque, ontologicamente parlando (a livello dell’essere) c’è un abisso invalicabile che separa il Creatore da ogni creatura.

Le seguenti parole di Wayne Grudem ci risultano utili a cogliere la fissità di questa distinzione:

«La differenza fra l’essere di Dio e il nostro essere è più della differenza fra il sole e una candela, più della differenza fra la calotta glaciale artica e un fiocco di neve, più della differenza fra l’oceano e una goccia di pioggia, più della differenza fra l’universo e la camera dove siamo ora seduti: l’essere di Dio è qualitativamente diverso. Nella nostra idea di Dio non dovrebbe essere proiettata nessuna delle limitazioni o delle imperfezioni tipiche della creazione. Egli è il creatore; tutto il resto appartiene all’ordine delle cose create. Tutto il resto può svanire in un istante; egli non può che esistere per sempre» (Grudem, Teologia sistematica, p. 201).

La replica indubbia alla domanda: “Chi è simile al SIGNORE, al nostro Dio?” (Salmo 113:5; Isaia 44:7) è “nessuno!” Dov’eravamo noi quando Dio fondava la terra? (Giobbe 38:4). Se non esistevamo prima che il mondo ci fosse, allora c’è una differenza decisiva tra noi e Dio. Non c’è una molteplicità di dei, c’è appunto un solo Dio (Deut. 6:4) e si vede la sua unicità quando realizziamo quanto Dio è distinto dalla sua creazione.

Il pericolo di offuscare questa distinzione

Se il riconoscimento della distinzione tra il Creatore e la creatura è la pietra angolare della vera conoscenza di Dio ( la teologia), la stoltezza, d’altronde, consiste nell’offuscamento della stessa. Si sa che lo stolto dice in cuor suo “Non c’è Dio,” (Salmo 14:1) ma la sua ottusità si vede pure nella confusione tra il Creatore e la creazione. Ogni forma di idolatria è una manifestazione di questa confusione in quanto gli uomini sono idolatri quando adorano e servono “la creatura invece del Creatore” (Rom. 1:25). Però, sono già stati annaffiati i semi dell’idolatria quando interpretiamo l’agire di Dio come se facesse parte della creazione. È proprio questa tendenza che si vede nel Salmo 50:

Salmi 50:20-22 Ti siedi e parli contro tuo fratello, diffami il figlio di tua madre. Hai fatto queste cose, io ho taciuto, e tu hai pensato che io fossi come te; ma io ti riprenderò, e ti metterò tutto davanti agli occhi. Capite questo, voi che dimenticate Dio, perché io non vi laceri e nessuno vi liberi.

La distinzione tra il Creatore e la creatura s’offusca ogniqualvolta si riduce la separatezza tra noi e Dio il che succede quando ci comportiamo come se ci fosse una sola cosa nell’universo. Quest’errore si verifica in un duplice modo: umanizziamo Dio o deifichiamo noi stessi. Si pensa, nel primo caso, che Dio sia come noi e pertanto non degno di fiducia, perché incapace di aiutarci abbastanza, nel secondo caso, che noi siamo come Dio e dunque capaci di fare ciò che solo Dio può fare. Entrambi i casi producano un medesimo esito: confusione, frustrazione, delusione e dolore. Insomma, l’offuscamento di questa distinzione è, secondo Giacomo, un sintomo della saggezza terrena cioè quella che non tiene conto di Dio (non “scende dall’alto”) perché produce “disordine e ogni cattiva azione” (Giacomo 3:11-17).  

La somma della nostra sapienza è ancorata in questa distinzione

Giovanni Calvino, accentua l’importanza di questo concetto nelle prime righe del suo capolavoro, Istituzione della religione cistina: “Quasi tutta la somma della nostra sapienza, quella che tutto considerato merita di essere reputata vera e completa sapienza, si compone di due elementi e consiste nel fatto che conoscendo Dio ciascuno di noi conosca anche sé stesso” (I.I.1, p. 137). La nostra visione del mondo si compone di questi due elementi principali: il nostro concetto di Dio e il nostro concetto di noi stessi. Non è molto diverso dal funzionamento di un’altalena a bilico, perché quello che si mette su un lato, influisce sull’altro lato. In altre parole, il nostro concetto di Dio ha un impatto sul nostro concetto di noi stessi e viceversa: se ci immaginiamo autosufficienti, Dio diventa piccolo e il suo aiuto superfluo; se ci dimentichiamo che Dio è l’unica vera sorgente di soddisfazione e significato, ci mettiamo a ricercare tale fonte nella creazione. Solo se ci avviciniamo a Dio consapevoli della sua maestà, saremo pure consci dei nostri limiti creaturali.

C’è un nesso reciproco tra la nostra pochezza e la grandezza di Dio. Conoscendo noi stessi conosciamo Dio.

« …Infatti dal sentimento della nostra ignoranza, vanità, distretta, infermità e ancor più, perversità e corruzione, siamo condotti a riconoscere che in Dio solamente c’è vera luce di saggezza, forza stabile, ricchezza di ogni bene, purezza di giustizia. Solo turbati dalle nostre miserie ci volgiamo a considerare i beni di Dio, e non possiamo volgerci seriamente se non dopo aver cominciato ad essere insoddisfatti di noi stessi…La conoscenza di noi stessi dunque non solo ci stimola a conoscere Dio, ma anzi deve guidarci, quasi per mano, a trovarlo» (I.I.1, pp. 137-138).

È anche vero l’inverso ossia conoscendo Dio, conosciamo noi stessi:

«Se infatti in pieno giorno guardiamo verso il basso o qua e là intorno a noi, ci sembra di avere lo sguardo più acuto che si possa immaginare; ma se leviamo in alto gli occhi per contemplare il sole, quella grande luce che si spandeva in terra è subito abbagliata e completamente confusa dallo splendore che la sopravanza, al punto che siamo costretti a confessare che la vivacità dimostrata nell’affrontare cose terrestri risulta greve e lenta quando si tratti di misurarsi col sole. Lo stesso accade nel campo dei beni spirituali: fintantoché non guardiamo oltre la terra, accontentandoci della nostra giustizia, saggezza e forza, siamo soddisfatti e ci compiacciamo fino a valutarci semidei. Me se incominciamo a levare i nostri pensieri a Dio e a riflettere su chi egli sia e quanto eccellente sia la perfezione della sua giustizia, saggezza e forza, a cui ci dobbiamo conformare, subito quanto ci soddisfaceva pienamente sotto il falso aspetto di giustizia avrà l’odore cattivo dell’iniquità; quello che ci deliziava sotto l’etichetta di saggezza apparirà non essere che follia, e quello che aveva una apparenza di forza si rivelerà debolezza» (I.I.2, p. 138).

La distinzione come fonte di gioia

La distinzione tra il Creatore e la creatura — il fatto che Dio non è come noi — dovrebbe riempierci il cuore di una gioia robusta e stabile. Dio è degno della nostra fiducia proprio perché non è come noi: “Se siamo infedeli, egli rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso” (2 Timoteo 2:13). Quali sono i modi in cui Dio è diverso da noi? Ecco tre delle risposte più ovvie:

  • Dio è indipendente, noi siamo dipendenti da lui. Dio è sempre beato (1 Timoteo 1:11) e la sua felicità non può essere interrotta in quanto non dipende da nessuno se non da sé stesso. Prima che ci fosse una creazione, Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo condividevano un amore completo e ininterrotto (Giovanni 17:24). Dio “non è servito dalle mani dell’uomo, come se avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa” (Atti 17:24-25). Noi siamo bisognosi ma Dio no. Ecco perché possiamo rivolgerci a lui per soddisfare ogni nostro vero bisogno.

  • Dio è immutabile, noi siamo mutabili. Noi cambiamo continuamente, a volte andiamo meglio, altre volte peggio. Quando dubitiamo, siamo “simile a un’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là” (Giacomo 1:6). Dio non cambia (Malachia 3:1) perché in lui “non c'è variazione né ombra di mutamento” (Giacomo 1:17). “Dio non è un uomo, da dover mentire, né un figlio d'uomo, da doversi pentire. Quando ha detto una cosa non la farà? O quando ha parlato non manterrà la parola?” (Numeri 23:19). Dio è la nostra rocca (Salmo 18:2). Ecco perché possiamo fidarci di Lui nonostante il cambiamento costante della creazione intorno a noi.

  • Dio è infinito, noi siamo finiti. Noi siamo limitati dallo spazio e dal tempo ma Dio li trascende. Egli è illimitato in rapporto allo spazio perché’ è onnipresente; Dio è sempre vicino perché riempie il cielo e la terra (Ger. 23:23-24) e i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere Dio (1 Re 8:27). Dio è pure illimitato in rapporto al tempo perché’ eterno. Egli è Dio da eternità in eternità (Salmo 90:2); è il primo e sarà con gli ultimi (Isaia 41:4). Ecco perché possiamo essere certi che Dio è “un aiuto sempre pronto nelle difficoltà” (Salmo 46:1) ovunque siamo e a prescindere da quando chiediamo. 

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